Una epigrafe della famiglia D’Agnese a Piedimonte Matese del 1778

Prof. Salvatore Laurenza. La bella, rustica costruzione attintata in rosa carico che si nota da ogni punto panoramico della nostra città , alle falde del Monte Cila, in mezzo ad un bosco di pacifici ulivi che nelle giornate ventose, agitati, hanno riflessi d’argento, fu edificata nell’anno di grazia 1778 dal Rev. Mons. Don Domenico D’Agnese, appartenente alla distinta famiglia di tal nome estinta da tempo, per quanto mi risulta. Attualmente è proprietà dell’Avv. Salvatore Di Baia, mio caro amico da tempo, il quale mi invita talvolta a trascorrere qualche ora di tranquillo riposo dalle cure quotidiane in questa sua villa rustica dalla quale si gode un panorama magnifico non solo su tutto l’abitato di Piedimonte a cominciare dal vecchio rione rannicchiato intorno alla Chiesa parrocchiale di S. Maria Maggiore ma anche fino a Vallata, l’altro rione in posizione più aperta sull’ampia pianura alifana, in mezzo al quale spicca la cupola maiolicata del monastero benedettino, per finire ai monti del Preappennino, azzurrini per la lontananza. Nei giorni privi di foschia, poi, si distingue nettamente la cima del Vesuvio nel limpido cielo di Napoli all’estremo orizzonte. Si rimarrebbe ore intere a contemplare tale splendido e amplissimo scenario ricco di una straordinaria varietà di colori tra i quali predomina in verde chiaro o scuro degli alberi e delle diverse culture erbacee, quello smeraldino dei prati, il giallo pallido delle stoppie, il marrone della terra arata di fresco, la tinta color ruggine dei tetti e quella chiara delle case ammucchiate fra loro e poi man mano digradanti verso la grande pianura.  Tutto questo genera una tale sinfonia di colori che se, ai suoi tempi, Ludwig Van Beethoven si fosse trovato ospite in questa villa rustica, avrebbe certamente composto una decima sinfonia da aggiungere alle sue altre famosissime nove e l’avrebbe intitolata senza dubbio “Farben Synphonie”, cioè la sinfonia dei colori. Ma lasciamo ora i sogni e le fantasie e veniamo alla epigrafe così interessante ed educativa nella sua brevità e semplicità. Essa è scolpita in marmo bianco, a lettere di media grandezza ben visibili anche ad occhio nudo, e recita così:

QUAM PERAMOENA DOMUS, QUAM AGNESIUS ALMUS AMICIS DOMINICUS VOVIT! QUAM PERAMOENA DOMUS! SUNT PROCUL HIC URBIS CURAE PROCUL IMPROBA VERBA NON PROCUL AT FOELIX RUSTICA VITA LECIT INVIDEAMNE AULAS ? FOELIX, CUI FATA DEDERUNT URBE PROCUL, RURI VIVERE CUMQUE    SUIS! A.D. MDCCLXVIII

Ecco la traduzione dei distici sopra indicati: “Che bella casa questa che il buon Domenico D’Agnese dedicò agli amici, che bella casa! Sono lontane da qui le preoccupazioni della città, lontane le mormorazioni, ma non è lontana tuttavia la felice vita campestre. Devo forse nutrire invidia per le abitazioni sontuose? Felice colui al quale il destino concesse di vivere lontano dalla città, in campagna e con i propri familiari!

L’epigrafe comincia con una  esclamazione per la bella dimora dedicata agli amici e a se stesso dal Reverendo Signore Domenico D’Agnese, Canonico della Colleggiata di Santa Maria Maggiore, il quale stanco e infastidito dalle noie della città, forse amareggiato dalle mormorazioni inevitabili anche in un piccolo centro come era Piedimonte nel secolo XVIII, (l’umanità è sempre la stessa) decise di ritirarsi a vivere appartato in quella sua non ampia ma tranquilla abitazione in mezzo al verde pallido degli ulivi, insieme ai suoi familiari, per respirare aria fresca e pura e godere la vista riposante della grande pianura del Volturno. L’ iscrizione termina con una frase sentenziosa che ricorda l’inutilità dell’invidia, la più sterile delle passioni, e la felicità di colui al quale è concesso dal destino di vivere insieme alla famiglia, in campagna lontano dalla vita agitata e affannosa della città. Si nota in questa epigrafe un vivo desiderio della vita campestre, come proprio nello stesso periodo di tempo cantava Giuseppe Parini per celebrare il dolce paesaggio della sua Brianza, e come insieme a tanti altri, aveva già detto Orazio Venusino sia nelle Odi che negli Epodi. Si può dare forse torto all'”almus” Signor Domenico D’Agnese? Che direbbe, che farebbe egli oggigiorno? Riuscirebbe, come noi, a vivere in mezzo al frastuono, al chiasso, al disordine, al traffico continuo e caotico delle nostre città? Certo che no! e forse si costruirebbe una casa ancora più in alto; magari sulla cima di un monte per vivere ancora più tranquillamente, senza essere angustiato dai vari pagamenti delle tasse sulle prime seconde e terze case e da tanti altri noiosi e fastidiosi balzelli.